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Face Box

Leda Patasheva

06 Settembre 2021

Kou Gallery

Via della Barchetta, 13 - Roma

Una iniziativa per le opere di carità del Circolo S.Pietro

A cura di Giovanna Sarno

Leda Patasheva presenta una serie di opere che descrivono lo sbocciare dell’incontro tra esseri umani, tra religioni, tra lingue diverse, l’artista, Inspirata dalla lunga tradizione della città eterna, sente Roma che l’accoglie e la fa sentire a casa e descrive questo impressione.

Leda ha sempre cercato di fotografare momenti di vita simbolici, unici, rappresentativi di una determinata cultura, adesso arricchita dal continuo incontro con mondi diversi, l’artista ha affinato un occhio sensibile e raffinato, che sa cogliere anche elementi comuni nella diversità.

Gesti, posture, sguardi che per intensità ed eloquenza sono momenti che accomunano gli esseri umani di tutte le latitudini. Elementi che rendono possibile la comunicazione

In queste fotografie L’artista cattura un gesto in movimento che si dirige verso lo spettatore.

La richiesta viene poi incastonato in una teca di legno, nella tradizionale cassetta di vini pregiati, dando un messaggio che va in sensi opposti e contigui, un gesto protetto dal legno ma allo stesso tempo anche costretto e pronto a tornare nel buio, appena si volge lo sguardo.

Infatti L’immagine rimane indistinta, sconosciuta, che viene dal nulla, dall’ignoto, ed è proprio questo smaterializzarsi in un colore monocolore, un non finito, un desiderio solo pensato che dona il luccichio dell’arte universale, che dice senza aver bisogno di spiegare !

Rimane l’ombra di un intenzione di cui non sappiamo la fine.

Leda sorprende qualcosa sul nascere, un prodromo di incontro e ripone questa delicatezza al posto di vino pregiato, anch’esso metafora di incontro, di movimento verso l’altro, nella convivialità.

Il vino, evocatore, messaggero di tradizioni antiche, gravide di incontri.

Il legno povero, non trattato e non di pregio delle cassette, rimanda alla grande arte italiana degli anni ’60, quando Germano Celant battezzava “arte povera” un arte ricca e feconda di concetti tutti assolutamente espressi con materiale semplice e di facile recupero, nella speranza di concentrare l’attenzione dello spettatore sul significato e sul messaggio dell’opera e non sul materiale facilmente monetizzabile.

Le opere si fruiscono solo da un punto di vista frontale, cioè da una posizione attenta e privata, donando uno spazio definito sul cui soffermarsi, è questo l’ultimo consiglio dell’artista per l’incontro, bisogna donare il proprio tempo rispondendo all’intento in un azione di rottura, del velo che divide e separa come l’indifferenza.

Superare l’indifferenza, un gesto chiesto allo spettatore, che lo chiama lo ingaggia.